Modest P. Mussorgsky - Quadri di un'esposizione

Progetto e testi di Stefano Corti


I Quadri di un’esposizione furono composti da Modest P. Mussorgsky nel 1874. Si tratta di un’opera pianistica di grande interesse e difficilmente collocabile in un preciso contesto storico e stilistico. Nel 1922 M. Ravel elaborò una trascrizione per grande orchestra e la grande popolarità della composizione originale è probabilmente dovuta proprio a questo adattamento, che, tra l’altro, rappresenta uno dei numerosi tentativi compiuti da grandi maestri di liberare l’intrinseca componente coloristica e pseudo-orchestrale imprigionata nella scrittura pianistica di Mussorgsky. Difficilmente una composizione per pianoforte del medesimo periodo presenta tanti e tali aspetti formali e caratteristiche compositive da farne un mezzo espressivo di immensa portata, soprattutto per quanto riguada un possibile adattamento tecnico per altri strumenti o addirittura altri stili musicali e comunicativi. Ricordiamo la splendida trascrizione per organo di Jean Guillou, un vero e proprio sfavillante arcobaleno di colori e registri organistici, oppure la trascrizione per orchestra del compositore finlandese Leo Funtek o ancora la versione “rock” del trio Emerson Lake and Palmer. Al di là di ogni considerazione e a prescindere dalle varie tipologie di avvicinamento all’opera da parte di compositori e trascrittori, è opportuno osservare che la tecnica adottata dal compositore russo è quanto di più insolito ed inaspettato ci si potrebbe aspettare da una composizione per pianoforte della seconda metà dell’Ottocento. La scrittura è a tratti quali primitiva, un abbozzo di una trama più complessa ed articolata, seppure finita e completa nel suo contesto puramente espressivo e comunicativo e spesso caratterizzata da un approccio virtuosistico allo strumento, in parte testimonianza della incompleta formazione accademica del compositore, dotato di autentica ispirazione e naturale talento nel controllo dello strumento impiegato in maniera così estrema per l’epoca. Proprio questo spingere il pianoforte verso nuovi confini sonori, proietta i “Quadri” in una dimensione del tutto nuova, sicuramente più vicina alla “modernità” del primo Novecento che al romanticismo ottocentesco. Alla base dell’opera vi è una collezione di quadri, disegni e progetti di Viktor Hartmann, pittore ed architetto, amico del musicista, il quale utilizza alcuni disegni esposti alla mostra come fonte di ispirazione per una composizione giammai semplicemente ed esteriormente descrittiva, né tanto meno per elaborare musica “a programma”, bensì realizzando una vera e propria sequenza di stati d’animo e riflessioni interiori concatenate secondo un coerente procedimento discorsivo. Anzi - è opportuno precisare – i quadri diventano quasi un pretesto per raccontare una storia fatta di immagini, luoghi, personaggi ed avvenimenti riconducibili in parte a una visione autobiografica (Mussorgsky trascorse gli ultimi anni della sua vita dedito all’alcolismo e sofferente di patologie depressive) ma identificabili anche in senso più ampio quali personali riflessioni sul mondo, sulla vita e sulla morte (la morte è una tematica presente ed avvertibile nei Quadri così come in altre opere del compositore russo). La composizione si apre con una “Promenade” in Si bemolle maggiore in continua oscillazione tra 5/4 e 6/4. La scrittura è prevalentemente accordale, con ottave nella mano sinistra e grossi accordi nella destra. La Promenade costituisce un elemento importantissimo all’interno dell’opera, dal momento che si colloca tra un brano e l’altro - quindi tra la visione di un quadro e l’altra - in differenti contesti tonali e metrici, anticipando o riprendendo le sensazioni evocate dalle visioni dei vari disegni. Ecco allora che questo brano si configura non solo come tema unificatore dell’intera opera, ma anche come elemento autoreferenziale nonché proiezione dell’identità dell’autore all’interno dell’opera stessa.
Il pezzo seguente, Gnomus, evoca una figura grottesca, caratterizzata da movimenti sinuosi ed improvvisi, da una scrittura pianistica a tratti decisamente scarna, con lunghi silenzi, corone e violente acciaccature. Ecco allora che il pianoforte diventa immediatamente uno strumento quasi primitivo (elemento caratterizzante anche brani successivi quali, ad esempio, Baba Yaga) in un contesto in cui la scrittura adottata sembra concepita per sonorità assai differenti e più ricche. Eppure la completezza e la compiutezza del brano sono innegabili, pur nella loro evidente e primordiale struttura formale e i timbri barbaricamente percussivi vengono liberati dal pianoforte con grande impatto sonoro ed emotivo. Questa è sicuramente una delle più importanti caratteritiche che contraddistingue l’opera di Mussorgsky da altre composizioni pianistiche di quel periodo storico, laddove la componente coloristica, pur essendo in larga misura elemento presente e dominante, assai difficilmente si potrebbero prendere in considerazione per una trascrizione per orchestra o altri strumenti in quanto, ad un livello più profondo, la scrittura è realmente pianistica, nel senso letterale, strutturale e formale. Detto diversamente, ciò che per altre composizioni è rappresentato da un legame indissolubile tra strumento e sostanza musicale, nei “Quadri” questo legame profondo è decisamente meno evidente e determinante.
Ne “Il Vecchio Castello” troviamo una languida melodia nella tonalità di sol diesis minore sopra un pedale di sol diesis. Il brano è immerso in una panoramica e solitaria atmosfera, come del resto può essere la melodia di un flauto o di un oboe di un solitario viandante davanti ad un castello medievale. Nella successiva Promenade troviamo nuovamente la scrittura a ottave e accordi tipica di questa composizione, quasi un anticipo di “Tuileries”, forse il più “europeo” dei Quadri, caratterizzato da movimenti leggeri, in un contesto più intimo e tranquillo. Con “Bydlo” l’identificazione onomatopeica con l’immagine mentale raggiunge una corrispondenza quasi letterale, laddove il meccanico e motorico movimento degli accordi della mano sinistra si può facilmente identificare nella riproduzione attraverso il pianoforte di un rumoroso e ripetitivo incedere. La melodia soprastante, nella tonalità di sol diesis minore, viene a trovarsi in un crescendo dinamico ed espressivo che sfocia nella parte centrale dove la stessa idea melodica cede il passo a un gruppo di pesanti accordi per poi ripresentarsi nella medesima tonalità con raddoppio all’ottava superiore. Le ultime misure vedono la riesposizione del tema in frammenti sempre più brevi e lontani, una sorta di corrispondenza tra evento musicale che si esplicita nella dimensione tempo con un immagine spaziale e temporale, un carro che si allontana e che diviene sempre più indistinguibile all’orizzonte. La successiva Promenade, oltre ad essere una riflessione sul brano precedente (a volte si ha la netta impressione che l’autore desideri quasi interrogare se stesso e meditare sui brani appena composti) è anche un anticipo del “Balletto dei Pulcini nei loro Gusci”, un breve pezzo dalle caratteristiche di un piccolo scherzo con un breve trio nella parte centrale, un luminoso ed allegro cinguettare di trilli e abbellimenti vari.
Ne “Il Vecchio Castello” troviamo una languida melodia nella tonalità di sol diesis minore sopra un pedale di sol diesis. Il brano è immerso in una panoramica e solitaria atmosfera, come del resto può essere la melodia di un flauto o di un oboe di un solitario viandante davanti ad un castello medievale. Nella successiva Promenade troviamo nuovamente la scrittura a ottave e accordi tipica di questa composizione, quasi un anticipo di “Tuileries”, forse il più “europeo” dei Quadri, caratterizzato da movimenti leggeri, in un contesto più intimo e tranquillo.
Con “Bydlo” l’identificazione onomatopeica con l’immagine mentale raggiunge una corrispondenza quasi letterale, laddove il meccanico e motorico movimento degli accordi della mano sinistra si può facilmente identificare nella riproduzione attraverso il pianoforte di un rumoroso e ripetitivo incedere. La melodia soprastante, nella tonalità di sol diesis minore, viene a trovarsi in un crescendo dinamico ed espressivo che sfocia nella parte centrale dove la stessa idea melodica cede il passo a un gruppo di pesanti accordi per poi ripresentarsi nella medesima tonalità con raddoppio all’ottava superiore. Le ultime misure vedono la riesposizione del tema in frammenti sempre più brevi e lontani, una sorta di corrispondenza tra evento musicale che si esplicita nella dimensione tempo con un immagine spaziale e temporale, un carro che si allontana e che diviene sempre più indistinguibile all’orizzonte. La successiva Promenade, oltre ad essere una riflessione sul brano precedente (a volte si ha la netta impressione che l’autore desideri quasi interrogare se stesso e meditare sui brani appena composti) è anche un anticipo del “Balletto dei Pulcini nei loro Gusci”, un breve pezzo dalle caratteristiche di un piccolo scherzo con un breve trio nella parte centrale, un luminoso ed allegro cinguettare di trilli e abbellimenti vari.
Dopo “Due Ebrei Polacchi” e “Limoges”, un brano sicuramente significativo è “Catabumbae” dove la semplicità di scrittura, quasi inaudita con accordi al limite dell’identificabilità armonica e grammaticale, trova piena realizzazione in un momento di pura sperimentazione musicale, un’alchimìa di sovrapposizioni sonore, silenzi e riverberi, una visione raggelante delle tematiche della morte, scovolgente e percussiva nell’animo, per approdare ad una contemplazione mistica, quasi religiosa della stessa attraverso la sublimazione della paura con una riflessione interiore, dapprima estremamente introspettiva, poi più rasserenante nelle misure conclusive di “Con Mortuis in Lingua Mortua”.
“Baba Yaga” (allegro con brio, feroce) è un pezzo ispirato dall’omonimo personaggio demoniaco femminile del folclore russo che, violento e terrorizzante, si nasconde nei più profondi recessi della natura umana. La tastiera del pianoforte viene brutalmente percossa da martellanti ottave e accordi. Nella parte centrale, visiva e plastica evocazione di ancestrali terrori, una sorta di “spaventoso” che abita la nostra psiche fin da tempi antichissimi, troviamo una serie di tremoli sopra un inquietante tema esposto in ottave nella mano sinistra. Dopo la riesposizione della prima parte il pezzo si congiunge direttamente, mediante una virtuosistica risalita di ottave arpeggiate, con la “Grande Porta di Kiev”. Due brani così differenti ed antitetici vengono collocati in sequenza a conclusione dell’intera composizione. Come non vedere qui una rappresentazione in musica di una liberazione (interiore? … autoreferenziale? …) di ancestrali paure ad opera del ritrovamento di una profonda verità di fede? … Questo geniale pezzo si apre, nella tonalità di Mi bemolle maggiore, con ampi e solenni accordi (arcate di un edificio sonoro portatore di un messaggio di civiltà e grandezza spirituale) nei quali il pianoforte sembra soltanto suggerire la portara rivoluzionaria di un messaggio sonoro celato nelle grandi ottave e nelle maestose architetture accordali. Segue quindi un corale a quattro voci dai caratteri fortemente modali. La sezione centrale costituisce un momento indimenticabile dove le corde le pianoforte si trasformano in una ghirlanda di suoni luminosi e trionfanti e dove, attraverso suoni di campane, emerge riconoscibilissimo il tema della Promenade, quale conclusiva presenza dell’autore ed elemento unificatore dell’intera composizione.